Learn, Make, Share
Iniziò così l'avventura. Vincemmo il bando "Diamo casa a 10 idee creative" e un concorso di Assolombarda. Nessuno dei concorsi prevedeva premi in denaro. Eravamo in difficoltà: la nostra idea prevedeva finanziamenti per acquistare le macchine ma non si trovava nessun appoggio. Non avevamo nè un posto nè del denaro da spendere.
La comunità milanese si attivò alla notizia del nostro Lab e ci fu molto astio. A quanto pare fu come se avessimo "rubato" l'idea. Chi eravamo noi per occuparci di queste cose "importanti"? Come osavamo parlare di digital fabrication senza titolo?
Credo fosse invidia per la nostra mossa coraggiosa. Il modello di business del lab però faceva acqua. Un FabLab è un'impresa sociale e fa fatica a stare in piedi. Le persone piuttosto che venire per fare cose, vengono per farsi fare delle cose e sono spesso privati, studenti o inventori un'idea senza un piano e senza fondi. Tirammo avanti per alcuni mesi fino a che. il 12 maggio del 2012, fui invitato a presentare l'idea a Ied For Future. Tra gli speaker c'era Massimo Temporelli che assistette con attenzione a quanto avevo da dire.
Nel 2013 Temporelli mi ricontattò perché aveva intenzione di dare una spinta al FabLab e mi propose di creare una cordata con Niccolò Bongiorno. Avevano individuato la sede (presso la Bovisa) e mi coinvolsero per poter sfruttare il nome "FabLab Milano". A me la cosa stava bene perché credevo che Niccolò potesse aiutarci a far finalmente decollare la cosa. Il clima era però teso e c'erano molti litigi e molto protagonismo da parte di alcuni soggetti.
In seguito ad un ultimo disaccordo Temporelli se ne andò con un suo team creando un nuovo laboratorio. Reclamavano il nome e il dominio fablabmilano.it che però non gli cedetti. In quei tempi rilasciavano anche interviste dichiarando di essere stati loro a portare a Milano il primo FabLab (anche citando erroneamente il libro "Makers" di Chris Anderson confondendolo con "FAB"). Non mi chiedevano di partecipare alla loro impresa (che doveva essere una srl commerciale), ma di cedergli senza compensi marchio e dominio. Non mi pareva giusto e di fronte al bivio optai per lasciare a Bongiorno l'uso del marchio e del dominio. In fondo lui mi pareva più equo, trasparente e meno "interessato" al punto di vista economico.
Purtroppo il modello di business del laboratorio non fu mai definito. Io fui poco coinvolto e le cose non funzionavano. Attorno al 2015 Salvatore Saldano, ai tempi un collaboratore del lab si propose di portare avanti lui l'iniziativa assieme a un finanziatore. Logorato dalle varie vicende, dai litigi e dalle malelingue ho ceduto a loro l'uso gratuito del dominio e del marchio (ora scaduto) confidando nelle loro buone intenzioni.
Sinceramente credo che oggi l'idea di FabLab sia ormai antiquata: ha più di 20 anni! Quello che è possibile fare in un FabLab si può realizzare con minima spesa nella cantina di casa. Le stampanti costano meno di 200 euro e lo stesso per altre macchine per la digital fabrication. L'innovazione sta nel trovare il team giusto e nel dominare le tecnologie senza chiedere ad altri. Come si fa? Studiando senza sosta, sperimentando, sporcandosi le mani, prendendo porte in faccia, collezionando insuccessi e fallimenti. Edison, Dyson, Tesla... hanno alle spalle cimiteri di prototipi ed esperimenti. Le loro mani erano sporche e tagliuzzate, coperte di cerotti. Oltre alla tecnologia oggi si deve saper valutare prima di tutto il mercato e definire il modello di business di quello che si vuole realizzare. Non è facile essere innovatori ma è una cosa alla portata di tutti. Tutti quelli che sono disposti a lavorare duramente e procedere un passo per volta fino alla vetta.
Ho sempre creduto nell'importanza di condividere la conoscenza, cosa che faccio tutt'ora sul mio sito e con il mio canale YouTube. E' chiaro che FabLab Milano è nato con fini commerciali ma non ho mai desiderato nè permesso (fino a che e quando ho potuto) che questi superassero la condivisione del Sapere e la filosofia "open" da cui è nato tutto questo. Ho registrato con molto disappunto e delusione l'astio, l'invidia e la cattiveria presenti nel panorama dei maker italiani. Chi si dichiara a favore dell'"open" e del condiviso in realtà difficilmente si è mosso in questo senso. Preferisco che siano i fatti a parlare e le opere piuttosto che i proclami o i manifesti. Make, learn, share.
Maggio 2020, Paolo Aliverti.