FabLab Milano

Nella primavera del 2011 ebbi l'idea di creare un FabLab a Milano.
A quei tempi pochi conoscevano questi laboratori e a Milano non ne esisteva nessuno.
L'idea a quei tempi era molto potente e scatenò un certo clamore...

FabLab

Un FabLab è un laboratorio per la fabbricazione digitale e per la prototipazione rapida. L'idea è di Neil Gershenfeld, professore del MIT e direttore del centro per i bit e gli atomi dell'ateneo. Creò il laboratorio nel 1998 a supporto di un corso chiamato "come costruire (quasi) ogni cosa". L'idea funzionò molto bene e il labopratorio presto divenne autonomo oltre che aperto al pubblico. Nel giro di pochi anni, seguendo l'onda della rivoluzione della stampa 3D e del movimento Maker, i FabLab si sono diffusi in tutto il mondo. Il suo lavoro e la storia dei FabLab sono descritti nel suo libro intitolato "FAB".

In Italia

In Italia abbiamo dormito fino al 2011 circa. Pochi sapevano dell'esistenza di questi laboratori e del movimento dei Maker. Tra il 2011 e il 2012 c'è stato il boom delle stampanti 3D open source e s'iniziò a parlare anche da noi di digital fabrication. Nel 2006 lessi, mentre ero in vacanza al mare, il libro FAB. Tra una surfata e l'altra mi appassionai all'idea ma a quei tempi pareva fantascienza. Nel libro si parlava di macchine e tecnologie incredibili. Misi da parte l'idea fino al 26 maggio 2011 quando ne discussi con un collega alla macchina del caffè. Facemmo qualche ricerca ma pare che a Milano, di FabLab no nce ne fossero. La cosa ci parve sospetta... "possibile che a Milano, la città del Design, non ci fosse un FabLab?". Così era. L'unica altra iniziativa presente in Italia era un FabLab temporaneo aperto poche settimane prima da Massimo Banzi di Arduino presso gli spazi adibiti al 150° anniversario della Repubblica, a Torino.

 

Learn, Make, Share

Iniziò così l'avventura. Vincemmo il bando "Diamo casa a 10 idee creative" e un concorso di Assolombarda. Nessuno dei concorsi prevedeva premi in denaro. Eravamo in difficoltà: la nostra idea prevedeva finanziamenti per acquistare le macchine ma non si trovava nessun appoggio. Non avevamo nè un posto nè del denaro da spendere.
La comunità milanese si attivò alla notizia del nostro Lab e ci fu molto astio. A quanto pare fu come se avessimo "rubato" l'idea. Chi eravamo noi per occuparci di queste cose "importanti"? Come osavamo parlare di digital fabrication senza titolo?
Credo fosse invidia per la nostra mossa coraggiosa. Il modello di business del lab però faceva acqua. Un FabLab è un'impresa sociale e fa fatica a stare in piedi. Le persone piuttosto che venire per fare cose, vengono per farsi fare delle cose e sono spesso privati, studenti o inventori un'idea senza un piano e senza fondi. Tirammo avanti per alcuni mesi fino a che. il 12 maggio del 2012, fui invitato a presentare l'idea a Ied For Future. Tra gli speaker c'era Massimo Temporelli che assistette con attenzione a quanto avevo da dire.

Nel 2013 Temporelli mi ricontattò perché aveva intenzione di dare una spinta al FabLab e mi propose di creare una cordata con Niccolò Bongiorno. Avevano individuato la sede (presso la Bovisa) e mi coinvolsero per poter sfruttare il nome "FabLab Milano". A me la cosa stava bene perché credevo che Niccolò potesse aiutarci a far finalmente decollare la cosa. Il clima era però teso e c'erano molti litigi e molto protagonismo da parte di alcuni soggetti.

In seguito ad un ultimo disaccordo Temporelli se ne andò con un suo team creando un nuovo laboratorio. Reclamavano il nome e il dominio fablabmilano.it che però non gli cedetti. In quei tempi rilasciavano anche interviste dichiarando di essere stati loro a portare a Milano il primo FabLab (anche citando erroneamente il libro "Makers" di Chris Anderson confondendolo con "FAB"). Non mi chiedevano di partecipare alla loro impresa (che doveva essere una srl commerciale), ma di cedergli senza compensi marchio e dominio. Non mi pareva giusto e di fronte al bivio optai per lasciare a Bongiorno l'uso del marchio e del dominio. In fondo lui mi pareva più equo, trasparente e meno "interessato" al punto di vista economico.

Purtroppo il modello di business del laboratorio non fu mai definito. Io fui poco coinvolto e le cose non funzionavano. Attorno al 2015 Salvatore Saldano, ai tempi un collaboratore del lab si propose di portare avanti lui l'iniziativa assieme a un finanziatore. Logorato dalle varie vicende, dai litigi e dalle malelingue ho ceduto a loro l'uso gratuito del dominio e del marchio (ora scaduto) confidando nelle loro buone intenzioni.

Sinceramente credo che oggi l'idea di FabLab sia ormai antiquata: ha più di 20 anni! Quello che è possibile fare in un FabLab si può realizzare con minima spesa nella cantina di casa. Le stampanti costano meno di 200 euro e lo stesso per altre macchine per la digital fabrication. L'innovazione sta nel trovare il team giusto e nel dominare le tecnologie senza chiedere ad altri. Come si fa? Studiando senza sosta, sperimentando, sporcandosi le mani, prendendo porte in faccia, collezionando insuccessi e fallimenti. Edison, Dyson, Tesla... hanno alle spalle cimiteri di prototipi ed esperimenti. Le loro mani erano sporche e tagliuzzate, coperte di cerotti. Oltre alla tecnologia oggi si deve saper valutare prima di tutto il mercato e definire il modello di business di quello che si vuole realizzare. Non è facile essere innovatori ma è una cosa alla portata di tutti. Tutti quelli che sono disposti a lavorare duramente e procedere un passo per volta fino alla vetta.

Ho sempre creduto nell'importanza di condividere la conoscenza, cosa che faccio tutt'ora sul mio sito e con il mio canale YouTube. E' chiaro che FabLab Milano è nato con fini commerciali ma non ho mai desiderato nè permesso (fino a che e quando ho potuto) che questi superassero la condivisione del Sapere e la filosofia "open" da cui è nato tutto questo. Ho registrato con molto disappunto e delusione l'astio, l'invidia e la cattiveria presenti nel panorama dei maker italiani. Chi si dichiara a favore dell'"open" e del condiviso in realtà difficilmente si è mosso in questo senso. Preferisco che siano i fatti a parlare e le opere piuttosto che i proclami o i manifesti. Make, learn, share.

Maggio 2020, Paolo Aliverti.